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Quando la paura diventa ritiro sociale #hikikomoriparliamone

 

Chi sono gli Hikikomori? Il termine è giapponese (perché è da li che molti anni fa è “esploso” un fenomeno, che l’intero Paese cerca di nascondere e sminuire), significa letteralmente “stare in disparte”. Viene usato per fare riferimento ad adolescenti e giovani adulti che decidono di isolarsi dalla società, vivendo nella solitudine della propria camera da letto, rifiutando spesso l’intrusione da parte di “amici” e famigliari.

 

Il video è esemplificativo, toccante, lascia a bocca aperta….soprattutto chi ancora crede che il fenomeno sia una bufala o una leggenda metropolitana. A me ha spalancato la porta, per dirla con ironia, su un mondo che non credevo potesse esistere….ma la speranza c’è…uno spiraglio di luce sempre più grande può illuminare e placare la vergogna e dare il coraggio di tendere la mano…o almeno socchiudere la porta.

 

Ci va coraggio e interventi coraggiosi, ha ribadito X Favaro, al seminario del 20 febbraio a Torino, allora raccolgo la sfida e provo a pensare a cosa potrei fare come Game Trainer, a come inviare un messaggio di solidarietà e di impegno a comprendere, mettermi nei panni di, a rispettare, ad accogliere.

 

Mi sembra di vedere il Donchisciotte del mio fumetto…..mentre chiuso in una stanza esagonale, in una prigione,  cerca di fare capire a Sancho Panza e a Ronzinante come si sente….come vive la notte per non sentire una insopportabile vergogna del mondo produttivo e performante del giorno. Come cerchi con il sonno di dimenticarsi di se stesso nel rumore del mondo…..Alla fine….un essere che non è umano vissuto da Donchisciotte come non giudicante, figura innocua che non recita la sua parte su un palcoscenico sociale insopportabile, lo salva e lo aiuta a integrare le sue zone di ombra….a ridurre quel divario così ampio fra sé ideale (rimandato da una società sempre più orientata all’apparire, al produrre, all’avere…piuttosto che all’essere quasi come se il contenuto contasse meno del  contenitore…ma da quando ?????

 

Ho fatto del gioco il mio manifesto per una vita più serena per bambini e per adulti, per giovani e per anziani, per chi ha bisogni speciali e per chi non ne ha…ma chi non ne ha???

 

Giocare è una buona prassi ..innanzitutto preventiva, perché è una delle prime forme di interazione sociale, è una matrice su cui si costruiscono le regole di interpretazione dei comportamenti sociali e lo specchio di rimando di un sé in evoluzione che lentamente si confronta con la realtà, con i suoi avvenimenti e i suoi attori. Il gioco è l’ambiente naturale dei bambini, un linguaggio che si apprende con giocandolo, è meno competitivo rispetto alla vita reale, è il luogo dove possiamo “far finta che”...e costruire uno scenario protetto dove fare e rifare le prove preparandosi a vivere  “per davvero" affrontando un palcoscenico che non sempre è accogliente e che ci applaude…Passo dopo passo, progresso dopo progresso, costruiamo la nostra autostima per poter vincere paure e sfide sempre più grandi. Per diventare uomini e donne di questo mondo diventato oggi così pressante e competitivo.

 

Approfondimento inviato anche a GGmagazine la scorsa settimana

 

L’isolamento diventa la risposta più naturale alla paura di fallimento sociale che porta ad attivare nei soggetti più fragili e predisposti, quel meccanismo di difesa primordiale che si innesca quando avvertiamo una situazione di pericolo: la fuga (in questo caso la fuga verso un luogo più sicuro come la tana/camera)

 

La paura di fallire, di non essere all’altezza delle aspettative altrui e NOSTRE si nutre di quella pressione alla realizzazione sociale che permea la vita quotidiana delle società come le nostre basate sulla produttività, sul profitto, sul successo ad ogni costo. Si stima che il fenomeno coinvolga fra l’1 e il 2% delle popolazioni che vivono in società moderne che allevano generazioni permeate di “valori” più legati all’apparire in un click  che all’essere dell’impegno, della fatica, de cammino evolutivo dell’accettazione di se stessi, dove il contatto con la realtà diventa sempre più debole, dove il divario fra il “sé ideale” e la realtà diventa troppo ampio, dove la pressione a raggiungere il modello idealizzato aumenta insieme alla paura di fallire, di deludere gli altri e di conseguenza noi stessi. Paura e vergogna sono due lati della stessa medaglia. La vergogna come emozione secondaria nasce proprio dal meccanismo di confronto sociale, si fonde con la Paura in un unico sentimento: la paura di essere giudicati, un fattore che nella nostra società ha assunto un peso e una centralità mai avuta nella storia dell’uomo.

 

Proviamo a tracciare un identikit degli Hikikomori: sono spesso dei ragazzi introversi, molto intelligenti e sensibili, più sovente maschi, figli unici, tra i 14 e i 25 anni. L’insorgenza delle manifestazioni di ritiro sociale avviene generalmente nel periodo della preadolescenza, dell’adolescenza o della prima età adulta. Tra i principali campanelli di allarme possiamo identificare:

 

·         Ritiro scolastico (l’ambiente scolastico è uno degli aspetti più delicati e critici per il rapporto con gli insegnanti e i coetanei che viene vissuto con grande sofferenza)

 

·         Disinteresse nelle interazioni reali, specialmente con i coetanei

 

·         Inversione del ritmo sonno veglia (vivono di notte quando il mondo è inattivo per ridurre l’effetto del confronto sociale e sentire meno il peso della vergogna).

 

·         Auto-reclusione nella propria camera da letto

 

·         Preferenza per attività solitarie (di solito legate alle nuove tecnologie ed erroneamente additate come la causa del fenomeno e non come un rimedio per ridurre la tristezza della solitudine)

 

L’isolamento può durare alcuni mesi o diversi anni e generalmente non si risolve spontaneamente.

 

Quali interventi possibili allora? Non esiste un trattamento univoco, riconosciuto e standardizzato, servono interventi coraggiosi, tanta pazienza e speranza, ma soprattutto serve riconoscere il disagio e sostenere i genitori (nel loro ruolo di interlocutori privilegiati) a più livelli in maniera integrata e coordinata,  calata nel mondo di ogni realtà individuale.

 

La rete degli adulti (genitori, parenti, medici, psicologi, docenti ed educatori) attorno a un giovane ritirato deve essere sempre più sensibile e cooperativa nell’intento di coordinare una pluralità di interventi affinchè l’hikikomori riacquisisca la fiducia e il coraggio di fronteggiare nuovamente le relazioni sociali. Unica via per avvicinarlo a quel naturale confronto con la realtà che lo aiuti a ridurre il divario fra questa e il sè ideale

 

Fra gli interventi possibili

 

La Psicoterapia: (spesso rifiutata inizialmente) per redigere un progetto personale di riemersione dal ritiro , far affiorare le aspettative di vita del ragazzo

 

Interventi domiciliari: indispensabili qualora il ritiro fosse così grave da non permettere l’accesso ai servizi esterni

 

La scuola: ha un ruolo cruciale per il reintegro, più tempo dura l’isolamento, maggiore è la vergogna, la percezione di insuccesso e di impossibilità a rimettersi al passo con i coetanei. Sono necessari piani didattici individualizzati che riconoscano questo tipo di bisogni educativi speciali per attivare interventi di istruzione domiciliari o a distanza.

 

I coetanei: i ritirati sociali hanno subito spesso atti di bullismo, derisione o esclusione che non riescono a rielaborare positivamente. L’incapacità di sviluppare relazioni soddisfacenti con i coetanei è una delle principali cause di isolamento. RIFLETTIAMO MOLTO BENE SU QUESTO.

 

Risorse Interne e le passioni personali: sono essenziali per consentire al ragazzo di compensare il vuoto derivante dal ritiro.  ATTENZIONE perché le nuove tecnologie, i social sono svago, informazione e confronto…non le cause del fenomeno.

 

I tempi del reintegro sono lenti e variano da caso a caso, la riattivazione delle abilità sociali ha spesso un andamento discontinuo e altalenante, i genitori hanno bisogno di un supporto continuativo e di figure professionali di riferimento competenti.

 

Puntare su semplici e piccoli obiettivi raggiungibili annullando le aspettative e la conseguente percezione di pressione sociale sono le parole d’ordine per dare valore a ogni piccolo progresso e per tracciare la via di uscita progressiva dal ritiro sociale.

 

Parlarne e fare luce su questo fenomeno aiuta innanzitutto a riconoscere precocemente quei segnali che i genitori e gli insegnanti non devono sottovalutare. Permette di sensibilizzare l’opinione pubblica e le istituzioni per ottenere maggiore aiuto e maggiore considerazione. Aiuta i genitori a non sentirsi soli e impotenti, giudicati, derisi.

 

La scuola ha il dovere di monitorare e promuovere situazioni protette laddove vi siano soggetti più fragili e sensibili a situazioni spiacevoli da cui stanno rifuggendo.

 

Promuovere il rafforzamento dell’autostima in un sistema fondato sui progressi individuali, svincolati da una standardizzazione a raggiungere obiettivi di contenuto, sul sapere piuttosto che il saper imparare a fare. Favorire delle buone relazioni come rete di sostegno di fronte agli intoppi della vita e alle fragilità degli individui è un dovere della scuola e della società. Quello dei genitori è favorire un ambiente di ascolto, una serra per un sé in evoluzione che possa lentamente essere in grado di affrontare l’ambiente esterno con i suoi giorni di sole e con quelli di vento e di gelo.

 

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